di Beatrice Covassi

Per l’Europa il 2025 potrebbe essere la fine della storia o l’alba di una nuova era.

Il passo del cambiamento, anzi dei cambiamenti, è talmente rapido e brutale che quasi non lascia tempo per un’analisi ponderata. L’insediamento della nuova Presidenza Trump, con una serie di decisioni drastiche che hanno impattato da subito la diplomazia multilaterale, il ruolo inedito degli oligarchi tech capitanati da Elon Musk, l’affermazione elettorale in Germania di un partito dichiaratamente neonazista, gli attacchi senza precedenti della Russia di Putin contro il nostro Presidente della Repubblica, il perdurare del conflitto in Ucraina e la fragile tregua in Medio Oriente. Di fronte a tutto questo, la sensazione naturale è di grande smarrimento. E risuona da più lati la domanda: l’Europa dov’è?

Perché tocca constatare che l’Europa unita, garante del più lungo periodo di pace mai vissuto sul nostro continente, si ritrova spesso afona e impotente.
Una cosa pare certa: non potremo continuare ad andare avanti come prima, alternando forza d’inerzia a balzi in avanti provocati da crisi e situazioni di emergenza. Il cosiddetto metodo funzionalista, adottato da Monnet dopo il fallimento negli anni ‘50 dei progetti per una Comunità europea di difesa e politica, ha raggiunto oggi il suo limite. Non convince la tattica di continuare a fare il possibile (“Business as usual”), dando un colpo al cerchio e l’altro alla botte, sperando che passi la nottata. L’Europa tutta – a 27 – deve ritrovare la sua voce  e dimostrarsi all’altezza della storia se non vuole rassegnarsi al declino, neppure troppo lento.
Per farlo, a mio avviso, è utile ripartire dall’inizio, dalle basi del progetto europeo: pace, democrazia, rispetto dei diritti fondamentali della persona.

A tre anni dalla sconsiderata aggressione Russa dell’Ucraina, riaffermare il ruolo dell’Europa come attore di pace non è scontato.

L’Europa unita, nata dalle macerie di due guerre mondiali viene da subito concepita come progetto per la pace: unire economie e popoli per non farsi mai più la guerra. Una promessa che è stata mantenuta per oltre 70 anni. Oggi, con il ritorno della guerra ai nostri confini, la pace diventa un test di sopravvivenza per l’UE: un’Unione, incapace di essere attore di pace, non solo nega sé stessa, ma rischia di perdere ogni utilità in un contesto mondiale sempre più aggressivo.

Dal 2022 la prospettiva di un’Europa della difesa, sognata e voluta anche da De Gasperi, ha ripreso slancio e si sono iniziati a muovere passi significativi in questa direzione. Dalle prime esercitazioni congiunte al di fuori del quadro Nato al controverso piano “Rearm” annunciato il 6 marzo dalla Presidente della Commissione Von der Leyen. Piano che rappresenta solo un primo passo verso la difesa europea e a cui sembra intenzionato ad associarsi anche il Regno Unito, in fase di forte riavvicinamento dopo la Brexit.

Restano tuttavia molti i nodi da sciogliere.

Per primo, l’ambiguità del rapporto con la Nato. L’alleanza atlantica è stata infatti rafforzata dallo storico, e sofferto, ingresso di Svezia e Finlandia, ma si ritrova indebolita dalle provocazioni di Trump, il quale ha dapprima chiesto agli alleati di aumentare i loro contributi dal 2 al 5% del PIL e minaccia adesso di abbandonare del tutto l’alleanza atlantica. L’Europa non è ancora pronta –  e lo sanno bene tutti gli attori in causa – ad assumere autonomamente la propria difesa, anche con la protezione nucleare offerta dalla Francia di Macron. Cosa fare nel frattempo? Come accelerare il processo decisionale europeo?

Il secondo punto dirimente riguarda la possibilità di una difesa efficace in assenza di un esercito europeo, un contingente militare di pace. Il rischio è infatti quello di una corsa al riarmo nazionale, che con la pace ha ben poco a che vedere. “Rearm EU” rischia di sortire questo effetto se non è accompagnato da una visione più ampia. Ma sull’esercito europeo il consenso politico dei governi resta tutt’altro che scontato.

Infine, l’assenza di un’autentica politica estera comune. Abbiamo visto in più occasioni l’incapacità dell’Unione di parlare con una voce sola; questa debolezza rischia di vanificare ogni altro sforzo poichè le decisioni da prendere sono innanzitutto politiche, e su questo si gioca la nostra credibilità come attore internazionale. L’Europa deve affermare il primato della politica e di una politica comune.
Pensare che una “pax ucraina” sia possibile senza il coinvolgimento dell’Unione europea non solo è assurdo ma anche del tutto irresponsabile. L’Ucraina, infatti, è paese confinante con l’UE e candidato a diventare membro dell’Unione; pertanto, un accordo di pace siglato senza tener conto di questi elementi significherebbe di fatto sancire la fine – o l’inizio della fine- dell’Unione stessa. I tentativi recenti di USA e Russia di siglare una pace senza Ucraina e senza UE al tavolo negoziale non lasciano molti dubbi sulle reali intenzioni.

Insieme alla pace, e come garantirla, democrazia e stato di diritto sono altri elementi chiave del DNA europeo oggi a rischio di mutazioni irreversibili. Lo vediamo nella tenuta della diplomazia multilaterale, sotto attacco da più parti, a cui la nuova amministrazione USA sta dando spallate terribili. L’uscita dagli accordi di Parigi sul clima, dall’Organizzazione mondiale della sanità, il congelamento dei fondi per l’aiuto allo sviluppo (USAID), l’uscita dal Consiglio ONU per i diritti umani e i licenziamenti nelle agenzie per i rifugiati e i migranti. Queste prime misure stanno già avendo effetti a catena a New York, Ginevra, Parigi. Una situazione drammatica e di grande incertezza che potrebbe però rappresentare l’occasione per l’Europa di prendere un ruolo di leadership nella diplomazia multilaterale, riaffermando il suo attaccamento a un ordine mondiale basato sul diritto e non sulla forza, al rispetto dei diritti fondamentali, alla sostenibilità sociale e ambientale. Chi, se non l’Europa, potrà farsi promotrice di un modello di sviluppo basato sul rispetto del pianeta e delle persone, sul rispetto delle regole, sulla diversità e l’inclusione? Garantire uno sviluppo e una pace duratura per significa ribadire con forza la fedeltà ai valori fondamentali che rendono la pace possibile. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza eguaglianza e rispetto delle minoranze, non c’è rispetto senza democrazia. Si tratta quindi di portare avanti un’agenda positiva di equità, giustizia, lotta alla povertà. All’interno come all’esterno dell’Unione.

In un mondo che sembra aver perso la bussola del diritto e dell’umanità, l’Europa – istituzioni e valori comuni – assume un’importanza cruciale oltre l’Europa stessa e diventa idealmente la città sul monte della comunità globale, il riferimento di chi ancora crede che rispetto dei diritti umani, stato di diritto e democrazia siano gli ingredienti essenziali per ogni convivenza pacifica tra i popoli. Su questo drammatico crinale della storia, come esortava Giorgio La Pira, nessuno di noi può dire non mi interessa e non mi riguarda.