di Guido Laj
Il 9 febbraio 1849, è stata fondata la Repubblica Romana.
La Repubblica Romana dura qualche mese ed è diretta da un triumvirato: Mazzini, Saffi, Armellini.
Quando a Roma il 15 novembre 1848 il capo del governo dello Stato Pontificio Pellegrino Rossi viene ucciso Pio IX, papa Carlo Maria Mastai Ferretti, fugge a Gaeta. Goffredo Mameli accorre a Roma da Genova e da lì chiama il suo padre spirituale, Giuseppe Mazzini, con un famoso telegramma: “Roma. Repubblica. Venite.” Qualche mese dopo, il 21-22 gennaio 1849, a suffragio universale maschile, viene eletta un’Assemblea Costituente che proclama la Repubblica e scrive il testo di una Costituzione.
Ma nel giugno del 1849 le truppe francesi spedite dall’imperatore Napoleone III sbarcano a Civitavecchia e vanno all’assalto dal Gianicolo, mentre la città è difesa dai volontari guidati da Giuseppe Garibaldi; si combatte anche lungo la via Flaminia e sulla collina dei Parioli.
Storie antiche, si dirà; vicende lontane. Eppure, quella Repubblica, nel 1849, scrisse cose straordinarie. Vi riporto qui alcuni articoli della Costituzione approvata (praticamente, per i posteri) il 3 luglio 1849, mentre già le truppe francesi entravano in città.
Principi fondamentali.
Art. 1 La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.
Art. 2 Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o di casta.
Art. 3 La Repubblica con le leggi e con le istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.
Art. 4 La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli, rispetta ogni nazionalità, propugna l’italianità.
Art. 7 Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.
Art. 8 Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.
Dei diritti e dei doveri dei cittadini.
Art. 3 Le persone e le proprietà sono inviolabili.
Art.4 Nessuno può essere arrestato che per flagrante delitto, o per mandato di giudici; né essere distolto dai suoi giudici naturali. (…)
Art. 5 Le pene di morte o di confisca sono proscritte.
Art. 6 Il domicilio è sacro (…).
Art. 7 La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.
Art. 8 L’insegnamento è libero. (…)
Art. 11 L’associazione senza armi e senza scopo di delitto è libera.
Dell’ordinamento politico
Art. 26 I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le loro opinioni emesse nell’Assemblea, restando interdetta qualunque inquisizione.
Del potere giudiziario.
Art. 50 I giudici sono inamovibili; non possono essere promossi, né traslocati, che con proprio consenso, né sospesi, degradati o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.
Come potete vedere, è un testo molto “moderno”. Se non vi avessi detto la data, avreste pensato ad un testo del ‘900.
La Repubblica romana provò ad applicare realmente questi principi: ad esempio, i cancelli che nella Roma pontificia rinchiudevano gli ebrei nel ghetto, e che venivano chiusi al tramonto e riaperti all’alba, furono abbattuti.
Quando Pio IX tornò a Roma nel 1849 fece subito tre cose: 1) cancellò la Repubblica e la Costituzione; 2) fece rimettere i cancelli al ghetto; 3) reintrodusse la pena di morte, rimettendo in funzione la ghigliottina in Piazza del Popolo (si veda il famoso film di Luigi Magni, con Nino Manfredi, “In nome del Papa Re”).
Goffredo Mameli è morto per difendere quella Repubblica, quella Costituzione e quei principi. Insieme a lui sono morti in molti. Tra gli altri, Enrico Dandolo, Emilio Morosini, Luciano Manara.
Proprio sul Gianicolo Mameli è ferito: morirà in un ospedale il 6 luglio 1849, a soli 22 anni. Non poteva sapere quanto i suoi versi sarebbero stati terribilmente profetici: “Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”.
Se quegli uomini avessero vinto, se quella Costituzione fosse divenuta realtà, l’Italia avrebbe guadagnato cent’anni. È evidente che non c’erano assolutamente le condizioni perché quel testo, così chiaramente figlio della rivoluzione francese, potesse vivere ed affermarsi nell’Italia di metà ‘800. Ma è altrettanto palese (e la nostra attuale Costituzione lo dimostra) che da quelle idee negli anni successivi non si è più potuto prescindere.
