Una riflessione sulla disuguale ricchezza degli italiani
di Michele Misha Missikoff
Sommario
Nel suo ultimo rapporto sulle condizioni di vita in Europa (ottobre 2023), Eurostat rileva che in Italia il 63% della popolazione ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Questo in presenza di un numero sempre crescente di nuovi milionari. Questo documento intende fornire un’analisi fattuale della situazione della ricchezza degli italiani, la sua distribuzione nelle diverse fasce sociali e quali sono i macro-trend, a partire dall’evoluzione della distribuzione della ricchezza nel tempo. A tal fine adotteremo una suddivisione in tre fasce della società: fascia alta, rappresentata dal ceto sociale più ricco, fascia medio-bassa, rappresentata dal ceto sociale meno abbiente, fascia medio-alta, che comprende i soggetti posizionati tra i primi due. L’analisi si basa su cifre e percentuali che confermano con chiarezza quanto viene ripetuto da tempo, cioè che la società italiana mostra profonde disuguaglianze, con una marcata accumulazione della ricchezza verso la fascia alta, a discapito della fascia intermedia e, in modo ancora più accentuato, della fascia medio-bassa.
Vengono quindi analizzate le tendenze della ripartizione della ricchezza sulle tre fasce di popolazione registrate negli ultimi tre decenni. Da questa analisi diacronica emerge con chiarezza che la concentrazione della ricchezza nella fascia alta è sempre stata in crescita e, nell’ultimo periodo, ha mostrato una ulteriore accelerazione (malgrado la pandemia, crisi finanziarie, crisi energetiche et similia), in parallelo alla progressiva riduzione della ricchezza della classe medio-alta e, in modo ancora più marcato, della fascia della popolazione a basso reddito.
Per capire le cause di questa ripartizione fortemente ineguale della ricchezza, è necessario analizzare i processi di accumulazione della stessa e in particolare i meccanismi di redistribuzione del valore generato dal sistema produttivo. Schematizzando, possiamo identificare tre spazi: il primo riguarda la parte della ricchezza prodotta che rimane nella disponibilità dei proprietari dei mezzi di produzione; poi uno spazio dove la ricchezza viene redistribuita essenzialmente attraverso il lavoro umano, per quanti sono coinvolti nei processi produttivi (gli occupati), e un terzo spazio dove troviamo sussidi e pensioni.
L’analisi effettuata dimostra che da tempo il sistema socio-economico si è andato configurando per creare e mantenere queste forti ingiustizie e distorsioni nel tessuto sociale. I dati mostrano i meccanismi ben consolidati di un sistema concepito per proseguire nella tendenza in atto, in sintesi continuare ad arricchire i ricchi e impoverire i poveri. Le disuguaglianze, già presente nei decenni passati, continuano dunque a perpetrarsi ancora oggi, e non si intravedono segnali di una possibile inversione di tendenza.
Appare evidente che per la forma che ha assunto, e le storture crescenti che produce, questo modello di sviluppo non può continuare a lungo. Se non si attiva velocemente un cambiamento profondo delle regole che governano questo modello, si rischia di far esplodere forti criticità nel tessuto sociale. Quindi già oggi è possibile prevedere che il futuro porterà necessariamente forti cambiamenti. Se questi cambiamenti non sono anticipati e governati, rischiamo periodi di instabilità prima dei mercati, poi della società nel suo complesso, con esiti imprevedibili.
Quindi nascono alcuni quesiti. C’è un limite alle disuguaglianze che la nostra società è in grado di tollerare? Verso che tipo di società ci sta portando il nostro attuale modello di sviluppo? Come sta cambiando il nostro sistema democratico a fronte della creazione di una società fortemente disuguale?
Come detto, i dati mostrano con evidenza che l’attuale politica redistributiva non è riuscita a contrastare il fenomeno della polarizzazione verso l’alto della ricchezza e, corrispondentemente, l’impoverimento di fasce crescenti della popolazione. Dunque è necessario pensare a modelli differenti che sostituiscano progressivamente l’attuale modello. Un modello alternativo possibile è quello che superi il meccanismo della redistribuzione spostando l’accento sulla predistribuzione. Mentre la redistribuzione prende atto che il sistema, per come è concepito, tende a produrre disuguaglianze crescenti e quindi è necessario intervenire successivamente per mitigare le storture prodotte, la predistribuzione intende operare a monte, realizzando le condizioni perché dette storture vengano, se non eliminate all’origine, quanto meno minimizzate.
Il valore viene creato nel sistema produttivo, quindi vengono attuati meccanismi di prelievo da quanti detengono i mezzi di produzione verso quanti (lavoratori, pensionati, e percettori di sussidi) sono sprovvisti di mezzi di produzione. Al contrario, una politica predistributiva intende intervenire a monte, cioè nella fase di creazione del valore, in modo che venga ampliata il più possibile la platea di quanti posseggono i mezzi di produzione e possano quindi trattenere direttamente la ricchezza prodotta (ad esempio con il workers buyout e il rafforzamento del sistema cooperativo). In questo modo cambierebbe l’essenza del modello redistributivo oggi esistente, basato su lavoro salariato, tasse e sussidi. Il modello predistributivo consentirebbe un accesso diffuso alla creazione diretta del valore, mantenendo al contempo il prelievo fiscale per realizzare i servizi fondamentali, come una salute efficiente e universale, l’istruzione, ma anche forme di sussidi per situazioni sociali critiche e incentivi per le imprese, ad esempio per attuare politiche industriali innovative.
Premessa
Il termine disuguaglianza denota un concetto che può essere declinato in molte dimensioni. Essenzialmente si riferisce alle disparità che insorgono nella società creando condizioni di vita diverse per gruppi di persone diversi. Esiste una disuguaglianza culturale, relativa all’istruzione ricevuta, una disuguaglianza ambientale, relativa alle condizioni dell’ambiente in cui si vive, ma anche di tipo abitativo, sanitario, energetico, etc. In questo studio ci focalizziamo sulla disuguaglianza economica, in quanto riteniamo che questa rappresenta la dimensione primaria, dalla quale dipendono in massima parte le altre tipologie di disuguaglianze. In particolare aderiamo alla scelta metodologica che ritiene la ricchezza privata un indicatore valido per comprendere le disuguaglianze.
Questo documento ha come primo obiettivo quello di fornire un quadro sulla distribuzione della ricchezza individuale all’interno della nostra società. La ricchezza è rappresentata dei beni immobiliari, mobiliari, finanziari, monetari, e quant’altro accumulato nel tempo, nella disponibilità degli individui e utilizzabile per i propri fini personali. Il computo della ricchezza posseduta non include le entrate, in qualunque forma, che rappresentano il flusso di risorse economiche che, sottratte le spese sostenute, consentono l’accumulazione della ricchezza individuale. In questo documento, la società viene segmentata in tre fasce (classi) sociali e per ciascuna di queste si riporta la quota percentuale di ricchezza posseduta, rispetto alla ricchezza totale del paese. Inoltre, si mostra come la distribuzione della ricchezza è andata modificandosi nel tempo. Infine, si analizzano brevemente i meccanismi che sono alla base della accumulazione della ricchezza delle tre fasce.
I dati analizzati mostrano un paese dove una piccola percentuale della popolazione continua da tempo ad accumulare ricchezze crescenti a scapito della maggioranza della popolazione. L’analisi dei meccanismi di redistribuzione della ricchezza mostrano come questa tendenza si stia accentuando, spingendo un numero crescente di individui verso condizioni di povertà. Ad oggi non emergono indizi di una inversione di tendenza, per cui se non interverranno nuovi fattori (di cui peraltro non si vedono le avvisaglie) nel giro di un tempo relativamente breve raggiungeremo una situazione in cui la metà degli italiani si troveranno in condizioni di povertà ed è lecito pensare che difficilmente il nostro sistema democratico potrà resistere al disagio causato a questo enorme numero di concittadini. Quindi dobbiamo aspettarci che a breve dovrà esserci un cambiamento importante: in senso positivo, con una riorganizzazione della società per invertire l’attuale tendenza, oppure in senso negativo, in continuità con l’attuale tendenza, con il rischio che emergano tensioni sociali, fino a sfociare in manifestazioni anche violente di quanti non riescono più a vivere nelle condizioni in cui il sistema li ha confinati.
Tre classi sociali
Vi sono molti studi che analizzano la distribuzione della ricchezza tra le diverse fasce sociali. Operare una sintesi di questi studi presenta alcune difficoltà non banali. Spesso questi studi sono basati su diverse fonti non omogenee, non allineate nel metodo per stimare la ricchezza, nel segmentare la popolazione in sottoinsiemi omogenei, nell’attribuire le percentuali di ricchezza ai diversi gruppi sociali. Questo disallineamento appare anche quando si vuole identificare le diverse dinamiche, cioè come la ricchezza prodotta si è ripartita nel tempo tra le diverse fasce sociali e quali cambiamenti ha portato. Malgrado queste difficoltà, emerge una buona concordanza sulla tendenza degli ultimi decenni. In particolare, c’è un’ampia concordanza su quanto anticipato, cioè sul fatto che la fascia più abbiente della società possiede una quota rilevante della ricchezza del paese e che nel tempo questa fascia sociale ha costantemente aumentato la propria ricchezza, con un corrispondente impoverimento delle classi meno abbienti.
Per semplificare uno scenario complesso, possiamo suddividere la popolazione, sulla base della ricchezza posseduta, in tre classi. Una classe che definiremo alta, dove c’è la maggiore concentrazione di ricchezza; questa corrisponde in genere all’area del sistema socio-economico dove la ricchezza viene prodotta e rimane nella disponibilità delle imprese che hanno contribuito a crearla, cioè di coloro che detengono la proprietà dei mezzi di produzione, nonché della dirigenza di fascia alta. Una classe, che definiremo medio-alta, dove si colloca una frazione importante della la ricchezza che viene acquisita prevalentemente attraverso il lavoro. In queste prime due fasce, un meccanismo di accumulazione della ricchezza è rappresentata anche dalle eredità. Infine abbiamo una fascia medio-bassa, dove la concentrazione di ricchezza è molto ridotta. In quest’ultima fascia la ricchezza affluisce principalmente attraverso i sussidi sociali, le pensioni e il cosiddetto lavoro povero. La suddivisione della società in queste tre classi è volutamente schematica, ma rappresenta un compromesso sufficiente per quanto descritto in questo rapporto (ripartizioni più fini sono disponibili nella letteratura del settore).
La distribuzione della ricchezza nella Società
I dati analizzati confermano che il nostro sistema socio-economico è configurato in modo da garantire che una porzione consistente della ricchezza prodotta rimanga nella disponibilità della fascia sociale più abbiente, comprimendo al contempo il trasferimento della ricchezza prodotta verso le fasce meno abbienti della popolazione. Questo modello è andato configurandosi nel tempo con un insieme di regole, norme e leggi concepite per garantire questo andamento che, malgrado i tentativi (più o meno formali), non è stato contrastato, ma nemmeno mitigato dai vari governi che si sono succeduti. Infatti, questa tendenza negli ultimi decenni non si è mai fermata, anzi ha mostrato una costante accelerazione che, come vedremo, è stata ulteriormente accentuata dall’automazione e dalla rivoluzione digitale in atto.
Come anticipato, esistono numerosi studi. Qui riportiamo la sintesi di tre studi in particolare. Il primo è tratto da uno lavoro della Paris School of Economics e riportato dal WIR: World Inequality Report 2022. Iniziamo mostrando un grafico che traccia l’andamento della distribuzione della ricchezza in Italia dal 1995 per la prima e la terza fascia.

Dal grafico risulta evidente l’allargamento della forbice tra le due fasce sociali, riassumibile nella Tabella 1.
| Fascia sociale | Percentuale della popolazione | Percentuale di ricchezza posseduta nel 1995 | Percentuale di ricchezza posseduta nel 2021 |
| Alta | 10% | 37% | 48% |
| Medio-alta | 40% | 45% | 42% |
| Medio-bassa | 50% | 18% | 10% |
Esistono altri studi che forniscono un quadro ancora più marcato. Qui sotto riportiamo altri dati che provengono da altri due studi. I dati, pur essendo numericamente diversi dal precedente, indicano una tendenza analoga, più marcata e in qualche misura più inquietante. I dati del 2021 provengono da Oxfam (rapporto “DisuguItalia 2023”), quelli del 1995 da un rapporto di un gruppo di studio della City University of New York
| Fascia sociale | Percentuale della popolazione | Percentuale di ricchezza posseduta nel 1995 | Percentuale di ricchezza posseduta nel 2021 |
| Alta | 10% | 23% | 42% |
| Medio-alta | 40% | 60% | 54% |
| Medio-bassa | 50% | 17% | 4% |
I dati della Tabella 2 sono inquietanti in quanto mostrano disuguaglianze ancora più marcate, con una forte polarizzazione della ricchezza verso l’altro e una fascia medio-bassa sospinta verso la soglia di povertà. Soprattutto è impressionate la variazione della ricchezza della fascia medio-bassa che in meno di tre decenni ha perso tre quarti della ricchezza posseduta, con i primi due decili (il 20% più basso) già al di sotto della soglia di povertà (relativa o assoluta). Come vedremo più avanti, dove vengono analizzati i flussi di valore, questo impoverimento è causato dalla necessità di fare sempre di più ricorso ai risparmi per affrontare le spese della vita di tutti i giorni in quanto, per i meno abbienti, gli introiti si sono costantemente ridotti e non sono sufficienti per coprire le spese correnti.
Dunque, dal 1995 la fascia alta ha quasi raddoppiato la ricchezza detenuta, la classe medio-alta ha registrato un impoverimento moderato, registrando comunque una perdita di sei punti. Ma il dato più inquietante è rappresentato dalla fascia medio-bassa, che raccoglie la metà della popolazione meno abbiente per la quale la ricchezza si è ridotta ad un quarto di quella posseduta tre decenni prima.
Fino ad oggi questo andamento è stato sostanzialmente costante, esibendo un andamento ‘stabile’, cioè resiliente rispetto alle perturbazioni che il sistema socio-economico ha subito (dall’ 11 settembre alla crisi ‘subprime’, a guerre varie e pandemia). Quindi se estrapoliamo la curva assumendo un andamento in continuità col passato, questa raggiunge lo zero entro il prossimo decennio. Con il rischio di avere la metà della popolazione al di sotto della soglia di povertà. È uno scenario drammatico, che mostra le storture del nostro modello di sviluppo e che denuncia in modo evidente il fallimento delle politiche di welfare e di redistribuzione della ricchezza esistenti.
Dunque, appare evidente che, al di là di considerazioni etiche e morali, questo sistema non può continuare così, non è sostenibile sul piano sociale, ma nemmeno in una economia di mercato, in quanto un ulteriore impoverimento della metà degli italiani ne riduce drasticamente la capacità di spesa rischiando di alterare gli equilibri della economia di mercato. Quindi è altamente probabile che nei prossimi anni avverrà un cambiamento profondo di cui tuttavia oggi purtroppo non si vedono i segnali. Modifiche e riforme marginali hanno dimostrato di non funzionare. Quindi i cambiamenti dovranno essere sistemici e profondi.
La redistribuzione della ricchezza
Come detto, la ricchezza viene creata dal sistema produttivo, dove tipicamente si collocano i soggetti della fascia alta, che sono in larghissima parte i proprietari dei mezzi di produzione. Una parte della ricchezza prodotta rimane nella disponibilità di questi soggetti mentre la parte restante fluisce verso il resto della popolazione. Per quanto attiene alla fascia medio-alta i flussi di valore sono rappresentati in prevalenza dai compensi ai lavoratori (e ai pensionati di fascia alta), mentre per la classe medio-bassa gli introiti sono rappresentati essenzialmente da sussidi, pensioni e in minima parte da compensi per lavori saltuari e mal pagati.
Le disuguaglianze crescenti che abbiamo appena visto dimostrano chiaramente che questo modello non funziona. Malgrado le lotte sindacali, sul versante del lavoro, e iniziative come il Reddito di Cittadinanza (peraltro oggi cancellato), sul versante dei sussidi, il sistema continua a generare distorsioni e ingiustizie sociali. È difficile credere che una lotta sindacale più incisiva, orientata ad aumentare le retribuzioni, o una politica sociale più attenta, orientata ad aumentare i sussidi (cosa difficile con le attuali ristrettezze economiche dello Stato) riescano a fare molto per invertire la tendenza in atto. Il problema è sistemico e deve essere affrontato sul piano del modello di sviluppo.
Analizziamo adesso più nel dettaglio (in modo necessariamente schematico) i flussi del valore che sono alla base della ripartizione della ricchezza riportata nelle tabelle.
L’arricchimento della fascia alta.
L’arricchimento costante della fascia sociale alta è proseguito nel tempo agendo su due leve. La prima leva è rappresentata dalla ripartizione ineguale della ricchezza prodotta negli anni (il PIL). Qui vediamo che la classe alta si è costantemente accaparrata una quota importante della ricchezza prodotta, ed in particolare del margine di aumento che, anche se modesto, ha sempre mostrato il segno positivo. Il PIL italiano ha mostrato un aumento medio negli ultimi tre decenni del 2,2%, passando da 1.200 miliardi di euro nel 1992 a 2.300 miliardi di euro nel 2022 (Istat). Qui una quota crescente della ricchezza prodotta è rimasta nella disponibilità dei possessori dei mezzi di produzione, riducendo progressivamente la redistribuzione della ricchezza verso il resto della popolazione.
I dati disponibili evidenziano che la crescita modesta del PIL, inferiore a quella degli altri paesi industrializzati, è causata innanzitutto dalla stagnazione della produttività, che ha portato ad una perdita di competitività rispetto alle principali economie avanzate. Tra le cause della perdita di competitività del sistema paese possiamo elencare una burocrazia eccessiva della Pubblica Amministrazione, una giustizia lenta, scarsa disponibilità di fondi per l’innovazione e un settore finanziario farraginoso, fino alla mancanza di una visione e di politiche industriali organiche messe in campo dai governi che si sono succeduti. A livello di imprese c’è la scarsa competitività strutturale (salvo alcune eccezioni) dovuta a vari fattori, tra le quali carenze organizzative e manageriali, la scarsa concorrenza (con la insensata protezione di varie lobby), la scarsa capacità di innovare (dovuta a carenze culturali e investimenti insufficienti), difficoltà a reperire personale qualificato, lentezza nei processi di trasformazione digitale, difficoltà a fare sistema. La perdita di competitività ha costretto le imprese, per rimanere a galla, a comprimere i costi, in particolare agendo sui salari (risparmiando anche sulla sicurezza sul lavoro), causa questa dell’impoverimento di una fascia consistente della società e del fenomeno dei cosiddetti lavoratori poveri.
Nel prossimo futuro, se gli stimoli e le risorse per l’innovazione verranno indirizzati solo a favore delle élite, lasciando la grande maggioranza ai margini dei processi di trasformazione digitale, a causa anche della scarsa cultura digitale, avremo un ulteriore impoverimento anche della classe medio-alta. Che oggi rischia per via del profondo cambiamento del lavoro caratterizzato dalla progressiva sostituzione (o anche solo l’affiancamento) del lavoro umano con quello delle macchine, sempre più flessibili, intelligenti, performanti.
Una seconda leva che ha spinto l’arricchimento della classe alta opera attraverso il trasferimento di ricchezza dal basso. In sostanza, l’aumento della ricchezza accumulata dalla fascia alta proviene anche dall’impoverimento delle classi sottostanti. Quindi abbiamo assistito non solo ad una ripartizione sbilanciata verso l’altro della ricchezza prodotta (il PIL), ma addirittura ad una ‘estrazione’ della ricchezza che viene sottratta da parte della fascia alta a scapito di quelle sottostanti.
Il lavoro come meccanismo di redistribuzione della ricchezza
La ricchezza che fluisce verso la classe medio-alta, che si realizza principalmente attraverso il lavoro umano, viene stimata nel 2022 (Istat) pari al 61% del PIL (1,13 trilioni di euro). Per i lavoratori, le cifre mostrano due fenomeni concomitanti: da un lato un calo costante delle entrate, che nel 1995 erano il 66,5% del PIL. Un calo oggi accentuato dall’erosione dell’inflazione che, a valore costante, ne riduce ulteriormente il potere d’acquisto. Dall’altra la polarizzazione dei salari che, a fronte di un calo complessivo (ripeto, sostanziale e non nominale), porta alla creazione progressiva di una élite qualificata di super-tecnici con alte retribuzioni e intenzionati a difendere, se non aumentare, le proprie entrate. L’Istat registra (anno 2022) la seguente distribuzione del totale delle retribuzioni sulle tre fasce di lavoratori suddivise in base al livello di professionalità (qualifica) richiesto dalla posizione ricoperta.
| Professionalità | Percentuale di lavoratori | Percentuale delle entrate |
| Alta | 20% | 44,8% |
| Media | 40% | 28,2% |
| Bassa | 40% | 27,0% |
La tabella mostra in termini numerici quanto appena detto: il forte sbilanciamento delle retribuzioni verso la fascia alta dei lavoratori più qualificati; volendo segmentare ulteriormente, il primo decile (10% top) percepisce il 30% delle monte complessivo delle retribuzioni.
E’ utile notare che nel mondo del lavoro sul lato delle alte professionalità c’è una domanda crescente di personale qualificato che purtroppo resta in buona parte inevasa (qui c’è una responsabilità ineludibile del sistema formativo). Questa cosa danneggia non solo i lavoratori ma anche la parte più innovativa del sistema produttivo, frenandone la produttività nel segmento industriale più avanzato del Paese. Questo fenomeno, che nel 2021 vedeva più di un milione di posizioni qualificate non ricoperte, viene detto job mismatch (traducibile ‘non incontro’) tra domanda e offerta di lavoro. Questo può essere orizzontale o verticale. Mismatch orizzontale si verifica quando c’è un’offerta di personale qualificato, ma il tipo di qualifica non corrisponde a quello richiesto dalle imprese (che in particolare hanno bisogno di competenze STEM: Scienza, Tecnologia, Engineering, Matematica). Il mismatch verticale si verifica nel caso in cui il personale disponibile, pur essendo formato nel settore richiesto dalle imprese, non raggiunge il livello di qualifica richiesto.
Al contempo, si assiste ad una espansione della fascia delle mansioni poco qualificate. Qui la domanda è sostenuta, ma rimane spesso inevasa per via delle condizioni di lavoro (salari troppo bassi, orari pesanti, etc.). I lavoratori collocati in questa fascia vanno spesso ad ingrossare la schiera dei working poor.
Infine, come anticipato, c’è il fenomeno causato dall’accelerazione della rivoluzione digitale e dell’automazione avanzata, basata sulla robotica e l’Intelligenza artificiale. Questa rivoluzione tende a spostare una parte crescente del lavoro umano verso il lavoro delle macchine, riducendo progressivamente la necessità di personale. Questo porterà ad un progressivo restringimento della platea dei lavoratori, accentuando la richiesta di super-tecnici altamente specializzati. Oggi in Italia questo fenomeno è agli inizi, ma già si vede che, in presenza di difficoltà a reperire lavoratori qualificati, le imprese innovative sono spinte ad accelerare l’innovazione digitale, con l’obiettivo di ovviare alla carenza di personale specializzato con l’automazione. Inoltre va considerato che se una posizione viene ricoperta da una macchina ci troviamo davanti ad una scelta irreversibile: in futuro il posto non verrà più offerto a qualcuno che si rendesse successivamente disponibile per quel posto.
In questo scenario, oggi non sembra esserci una crisi occupazionale, e probabilmente non ci sarà nel breve periodo, ma con l’avanzare delle tecnologie digitali e dall’automazione, anche la base occupazionale tenderà a restringersi. Un fenomeno che vedrà da un lato l’incremento della produttività e dall’altro una riduzione della quantità di ricchezza che verrà redistribuita attraverso il lavoro umano, con conseguente ulteriore arricchimento della classe alta.
In conclusione, la classe dei lavoratori si sta parcellizzando (qualcuno parla di ‘atomizzazione’ con chiare implicazioni di coesione sociale), sta cambiando forma, e in prospettiva andrà riducendosi. Come dicevamo, nel mondo del lavoro appare emergere una doppia polarizzazione. Da una parte un’elite, con una buona formazione ed una solida cultura digitale, in grado di partecipare attivamente alla rivoluzione digitale (es. i lavoratori dell’Industria 4.0), dall’altra una gran massa di lavoratori che si devono adattare a fare lavori che richiedono basse competenze e offrono basse retribuzioni. Molte delle posizioni poco qualificate vengono progressivamente occupate dalla classe medio-alta, che sta subendo una compressione verso il basso, o addirittura vengono cancellate da nuove forme evolute di automazione (vedasi ad esempio Prime Air, la consegna dei pacchi Amazon con l’utilizzo di droni).
Come detto, questo processo avrà anche conseguenze sull’economia, in particolare sulla domanda interna a causa del progressivo arretramento del potere d’acquisto di masse crescenti della popolazione e una corrispondente contrazione del mercato e dei volumi di compra-vendita, e una costante crescita di merci a basso costo e di bassa qualità (tipicamente importate dall’Oriente). Come si diceva, questa tendenza nel medio-lungo termine non è sostenibile perché mina alle fondamenta il sistema basato sull’economia di mercato.
La redistribuzione della ricchezza nella fascia medio-bassa
Esiste un secondo canale attraverso il quale fluisce la ricchezza prodotta dal sistema economico verso una fascia sociale importante della popolazione, che rappresentata la metà della popolazione e non partecipa direttamente alla produzione del valore. E’ la fascia medio-bassa composta in maggioranza dai pensionati e quanti, disoccupati, lavoratori saltuari e poveri, non hanno entrate in grado di garantire una vita dignitosa. Questi percepiscono pensioni e sussidi erogati dallo Stato, che vengono finanziati attraverso prelievi e tasse di vario genere, poi distribuiti attraverso diverse istituzioni (INPS, INAIL, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Regioni e Province autonome, etc.)
In Italia, la platea di coloro che ricevono una qualche forma di sussidio sociale conta più 12 milioni di persone per un totale di 83,5 miliardi di euro (3,6% del PIL). A questi dobbiamo sommare i percettori di una qualche forma di pensione (vecchiaia, anzianità, reversibilità, invalidità, etc.) che in Italia ammontano a 16 milioni, per un ammontare di 313 miliardi, pari al 15,2% del PIL. Le tabelle che seguono riassumono schematicamente la situazione e forniscono anche un raffronto con il 1995. Queste tabelle riportano le percentuali del PIL invece dei valori assoluti per consentire un raffronto più immediato. I valori assoluti sono difficili da confrontare, essendo in lire quelli del 1995 e in euro quelli del 2022. Inoltre sarebbe necessario tenere conto non del valore nominale ma del potere d’acquisto (il citato PPP), cosa complessa che può introdurre ulteriori errori (es. per la variazione del paniere sul quale PPP viene calcolato).
| Pensioni 1995 | Pensioni 2022 | ||
| Totale beneficiari | Quota di PIL erogata | Totale beneficiari | Quota di PIL erogata |
| 12,6 ml | 8,2% | 16,1 ml | 15,2% |
| Sussidi 1995 | Sussidi 2022 | ||
| Totale beneficiari | Quota di PIL erogata | Totale beneficiari | Quota di PIL erogata |
| 3,4 ml | 5,8% | 12,6 ml | 3,6% |
Da queste tabelle emergono alcune considerazioni. La prima è che i percettori di sussidi, pur essendo numericamente aumentati di quasi quattro volte, si sono nel complesso impoveriti. Infatti l’incidenza sul PIL è passata dal 5,8% al 3,6%, con un calo di oltre due punti percentuale a fronte del significativo aumento del numero di percettori.
I pensionati mostrano uno scenario diverso, in quanto nel tempo hanno migliorato le condizioni economiche, con un ammontare percepito (incidenza sul PIL) quasi raddoppiato, a fronte di un incremento del numero di beneficiari di circa il 30%. Questo incremento è dovuto in larga parte al pensionamento dei boomer che hanno di recente raggiunto l’agognata pensione con il calcolo basato in prevalenza sul sistema retributivo. Un altro fattore che ha fatto crescere gli importi dedicati alle pensioni dipende dall’allungamento della vita media che ha comportato un maggiore esborso verso la platea dei pensionati. Tuttavia oggi ci troviamo in presenza di un cambio di fase che porterà in tempi brevi ad una progressiva riduzione delle risorse economiche dedicate alle pensioni, causata da una contrazione degli importi delle pensioni più recenti, e ancor più per quelle future, per via del il cambio del meccanismo di calcolo, basato sul sistema contributivo, e l’allungamento dell’età di pensionamento. Altri fattori che porteranno ad una contrazione delle pensioni sono rappresentati dalla maggiore precarietà, dall’ingresso ritardato dei giovani nel mondo del lavoro e l’ampliamento della cosiddetta ‘gig-economy’, cioè i lavoretti saltuari, difficilmente oggetto di versamenti pensionistici.
Il numero totale dei sussidi e delle pensioni erogate nel tempo si è ampliato notevolmente, passando dai 16 milioni del 1995 ai 28,7 milioni del 2022. Ma bisogna fare attenzione che queste cifre non corrispondono al numero di soggetti unici percettori, questo perché si verificano sovrapposizioni tra redditi da lavoro, da pensione e anche da sussidi. Non è facile stimare qual è il totale degli individui che vivono prevalentemente grazie a sussidi e/o pensioni. Ma incrociando diversi dati è possibile derivare un fattore di sovrapposizione che porta ad una stima approssimata di 20 milioni, dato compatibile con il numero di persone sopra i 15 anni (età minima di un occupabile). Questo numero porta ad una stima di 43 milioni di individui (sopra i 15 anni) la cui ricchezza non deriva dalla proprietà dei mezzi di produzione.
Ulteriori considerazioni
Qui si riprende una questione centrale, cioè che l’impoverimento della classe medio-alta e l’acutizzarsi della povertà della fascia medio-bassa, che in un’economia di mercato non può continuare a lungo. Già oggi si intravedono le avvisaglie di una crisi economica per scarsità di domanda, causata da una massa crescente della popolazione che non ha più le risorse per acquistare beni e servizi come in passato. In particolare i sussidiati da una parte aumentano in numero ma vedono dall’altra diminuire le risorse individuali a loro dedicate. Come detto, le pensioni hanno retto bene degli ultimi decenni, ma a breve si prevede che vadano incontro ad una contrazione per i futuri pensionati, che non godranno più delle somme dei padri o dei nonni.
Questo in uno scenario complessivo dove regna una forte incertezza sul futuro delle famiglie che nella misura del 63% hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Quindi c’è la tendenza a ridurre le spese all’osso cercando, ove possibile, di accantonare delle somme, preferendo aumentare i risparmi piuttosto che fare acquisti. Malgrado questo desiderio di risparmio, i dati dicono che la maggioranza meno abbiente degli italiani è costretta ad attingere ai risparmi, che si stanno assottigliando, per far fronte alla spesa corrente.
Dunque, per combattere la povertà, per rendere la vita di milioni di persone più dignitosa e, dal punto di vista del sistema produttivo, per non prosciugare il mercato, appare necessario che a fronte di un futuro restringimento della base occupazionale, e quindi del potere di acquisto derivante dal lavoro umano, sarà necessario fare evolvere l’attuale modello di sviluppo verso una espansione dei sussidi sociali e una difesa dei livelli pensionistici. Questo può avvenire da un lato aumentando la ricchezza prodotta, cioè l’efficienza e la produttività del sistema produttivo, e dall’altra operando sulla leva fiscale.
Nell’attuale modello socio-economico queste soluzioni presentano numerose criticità (… ‘vaste programme’ avrebbe detto De Gaulle). Prima fra tutte è sicuramente il reperimento delle risorse economiche necessarie per attuare un sistema di sussidi sociali ampio e dignitoso. Questo richiederebbe un prelievo fiscale importante a carico delle fasce sociali più abbienti, cosa che per vari motivi, inclusa la forte evasione ed elusione fiscale, ma anche una diffusa ostilità dovuta a scarso senso civico, non è di facile attuazione (specialmente nel nostro paese).
Verso un modello socio-economico basato sui sussidi di massa
Giungerà quindi il momento in cui i nostri governanti si convinceranno dell’urgenza di promuovere una politica industriale innovativa per rilanciare la produttività del sistema delle imprese, necessaria alla creazione delle risorse economiche che un programma di sussidi vasto e capillare richiede. Ma è anche ineludibile l’attuazione della lotta all’evasione, in modo sistematico e incisivo, e di un diverso sistema di tassazione per spostare maggiori risorse dalla fascia sociale alta verso le fasce sottostanti (da usare anche per erogare servizi di qualità, come per la sanità e l’istruzione). Una consapevolezza di questa necessità sta cominciando ad emergere, anche se trova poco ascolto nel nostro paese. In alcuni gruppi della Società civile, anche nella fascia dei più abbienti, comincia a manifestarsi la coscienza che l’attuale sistema deve cambiare, a cominciare dai meccanismi di prelievo fiscale. Ad esempio, negli Stati Uniti, esiste un gruppo denominato Milionari Patriottici (Patriotic Millionaires), composto da più di duecento dei cosiddetti HNWI (high-net-worth individuals: individui ad alto valore netto), che portano avanti una battaglia per l’aumento delle tasse ai ricchi. Questo gruppo, motivato da un impulso di moralità e giustizia sociale, ha elaborato una proposta, apparentemente contro i loro stessi interessi, che include il salario minimo, la copertura sanitaria universale e l’allargamento dell’accesso agli studi superiori. Tra gli appartenenti a questo gruppo, oltre a personaggi noti come Warren Buffet e George Soros, recentemente si è unita l’erede della famiglia Disney, Abigail Disney, creando una nuova attenzione alla questione.
In sintesi, ad un certo momento, la stessa classe dirigente dovrà capire che il primo cambiamento da introdurre, nel breve termine, è quello dei sussidi di massa; c. Che necessariamente richiederà una profonda revisione del sistema di tassazione, portando ad una inversione delle dinamiche di arricchimento viste negli ultimi decenni, realizzando quindi una rimodulazione delle aliquote per attuare in modo sostanziale una redistribuzione delle risorse verso il basso.
Come accennato, nell’attuale modello socio-economico, questa soluzione è resa ancora più urgente dell’avanzamento della rivoluzione digitale ed è l’unica che nell’immediato potrà alleviare le difficoltà di un numero crescente di persone che perderanno il lavoro o saranno sospinte verso lavori poco soddisfacenti e mal retribuiti. Questa soluzione può tamponare i problemi nel breve-medio termine, ma nei tempi medio-lunghi non può essere considerato un modello socio-economicohe sostenibile, e nemmeno desiderabile. Infatti, l’allargamento della platea dei ‘sussidiati’ non sarà in grado di tenere la società al riparo da tensioni, in quanto può introdurre storture e distorsioni nelle dinamiche sociali, con problemi crescenti sia a livello individuale (un’attività produttiva è parte integrante dell’identità dell’individuo) che a livello sociale, creando masse di persone senza un’occupazione, con problemi di tenuta del tessuto sociale. Questi cambiamenti, se spinti al limite, possono presentare rischi di distorsione degli equilibri democratici, fino ad arrivare a tensioni e proteste sociali anche violente.
Le criticità dei sussidi di massa
Nel meccanismo di redistribuzione della ricchezza basato sul lavoro esiste una dialettica, tra i lavoratori e le organizzazioni datoriali, che garantisce ai primi un certo potere negoziale. Se c’è unità tra i lavoratori e questi incrociano le braccia, possono creare un danno al datore di lavoro, arrivando anche a far pesare dalla loro parte i rapporti di forza. Questo può consentire di ottenere avanzamenti salariali, ma anche normativi e di qualità delle condizioni di lavoro. Viceversa, la classe dei percettori di sussidi, così come i pensionati, si ritrovano con scarso o nullo potere negoziale. In presenza di rivendicazioni del popolo dei sussidi, questi hanno scarse possibilità di avviare una lotta per un miglioramento delle loro condizioni.
Inoltre il sistema di sussidi può essere soggetto a scelte arbitrarie (si pensi all’abolizione del Reddito di Cittadinanza). Potrebbe accadere, per varie ragioni, che possano instaurarsi trattamenti disuguali o arbitrari, con vantaggi (o svantaggi) derivanti da orientamenti politici, collocazione geografica, fede professata, o quant’altro. Senza contare l’aspetto negativo legato alla progressiva perdita di identità sociale e quindi anche del senso del proprio esistere. Identità e senso che, come detto, il lavoro contribuisce a definire. A tal proposito, si citano spesso le riserve indiane americane, dove interi popoli di nativi americani sono remunerati per non far nulla e possono finire con l’immiserire le loro esistenze, dedicandosi all’alcool, droghe e cadendo in depressione.
Dunque abbiamo visto che i due canali principali di redistribuzione della ricchezza, il lavoro da un lato e pensioni e sussidi dall’altro, presentano già oggi forti criticità, e queste tenderanno a crescere in futuro. Quello basato sul lavoro perché sta cambiando la natura del lavoro umano, che verrà progressivamente trasferito a macchine (i computer sono macchine) sempre più potenti, flessibili, pervasive. Nella prospettiva ineludibile che già oggi vede un progressivo inserimento di un numero crescente di sistemi intelligenti (robot, chatbot, sistemi di comando e controllo intelligenti, per il planning, per la diagnosi, etc.) capaci di sostituire un numero crescente di lavoratori nei processi produttivi. Vedremo anche soluzioni combinate dove macchine intelligenti saranno in grado di affiancare super-tecnici (vedasi ad esempio l’avanzata dei cobot, i robot che collaborano con gli umani) realizzando soluzioni a notevole valore aggiunto, riducendo al contempo il numero complessivo di addetti necessari per una data funzione produttiva. Quindi, come detto, la base dei lavoratori andrà progressivamente riducendosi nel numero e trasformandosi in un élite di super tecnici. Questo porterà ad un impoverimento della fascia intermedia e un ampliamento di frange marginali di lavoratori a bassa scolarità e sottopagati. Nel medio-lungo periodo, anche quest’ultima fascia di lavoratori verrà progressivamente sostituita da sistemi automatici e robot della prossima generazione (vedasi il citato Prime Air di Amazon che, insieme al robot Kiva, sta rivoluzionando la logistica: dalla gestione dei magazzini alla consegna di pacchi a domicilio).
Conclusioni
In conclusione, l’attuale modello socio-economico, proiettato nel futuro, mostra uno scenario dove la ricchezza prodotta dal sistema delle imprese rimarrà nelle mani di quanti possiedono le macchine, pochi soggetti in grado di accumulare ingenti capitali, acquisendo un potere enorme. Questi potentati transnazionali saranno difficili da normare e controllare da parte dei singoli Stati. Cosa che in parte sta già avvenendo con le attuali multinazionali, a partire dalle Big Tech (quali Amazon, Facebook, Microsoft, etc.).
Ma ovviamente i ‘Signori delle macchine’ non possono accumulare ingenti ricchezze lasciando il resto della popolazione nella miseria. Per motivi umanitari, encomiabili, ma anche (soprattutto?) per le leggi di mercato. L’eccessiva accumulazione della ricchezza, con corrispondente impoverimento della restante parte della popolazione (di fatto, la quasi totalità) porterebbe al crollo della domanda e quindi dei mercati. Dunque l’unica alternativa possibile è quella di spingere su politiche di sussidi sociali massicci, con i rischi che abbiamo visto.
Abbiamo inoltre visto come nel periodo medio-lungo questo modello di sviluppo è insostenibile. Soprattutto se ipotizziamo che l’avanzata della rivoluzione digitale continuerà ad espandersi, alimentando la crescita delle ricchezze di chi possiede le macchine, cioè dei super-ricchi, a discapito del resto della popolazione. Con l’unica eccezione dei lavoratori super-specializzati che pur non avendo la proprietà dei mezzi di produzione, rimangono funzionali al sistema e vedranno una crescita sostenuta della loro ricchezza. Per tutti gli altri, la possibilità di trovare un posto di lavora tenderà a decrescere sistematicamente, con la diffusione della robotica, degli oggetti intelligenti (smart object), dell’Intelligenza Artificiale e dei servizi evoluti che le nuove piattaforme applicative basate su di essa sono in grado di offrire. Questo porterà ad un calo costante del numero complessivo dei lavoratori. Dunque, restringendosi la platea dei lavoratori si dovrà necessariamente ampliare quella dei destinatari di varie forme di sussidio.
Quello descritto è un destino ineluttabile? Esiste una terza via, tra l’impoverimento della società, verso un modello sudamericano, e il sussidio di massa? Se sì, qual è il modello alternativo che si dovrebbe perseguire?
Una possibile alternativa è il modello socio-economico basato sulla pre-distribuzione invece che la redistribuzione della ricchezza. La politica della redistribuzione si basa sulla presa d’atto che il sistema produce per sua natura una serie di ingiustizie e disuguaglianze nella società, e che la redistribuzione è il modo di correggere queste storture. La predistribuzione invece vuole affrontare il problema a monte, prevenire, o quanto meno minimizzare la generazione delle disuguaglianze, almeno quelle più marcate. Dunque si tratta di mettere in atto i processi che conducano alla creazione di un nuovo modello di sviluppo in grado di allargare la platea di quanti posseggono i mezzi di produzione, con l’obiettivo di costruire una società più giusta e solidale. Questa trasformazione oggi può essere avviata anche grazie alla rivoluzione digitale in atto.
Pur non essendoci ancora una concordanza completa sulla sua definizione e sulle sue caratteristiche, esistono nel mondo alcune proposte (ma anche sperimentazioni) che vengono collocate nell’ambito del modello socio-economico predistributivo. Appare quindi utile elaborarne una sintesi. E’ quello che intende fare un documento di prossimo rilascio, che presenta alcune definizioni, le condizioni per una sua attuazione, illustrando poi alcune soluzioni ed esperienze concrete in atto, ancorché in ambiti limitati. Il documento intende mostrare anche come la rivoluzione digitale, se governata opportunamente, può aiutare lo sviluppo di questo nuovo modello socio-economico.
Come sappiamo, la rivoluzione digitale non ha, per sua natura, implicazioni positive o negative, né il suo sviluppo implica l’evoluzione della società verso uno scenario predeterminato. La rivoluzione digitale offre un insieme di tecnologie potenti e flessibili, che possono essere indirizzate al fine di rafforzare il dominio dei Signori delle macchine, cosa che attualmente sta avvenendo, oppure possono contribuire a rafforzare la democrazia e la giustizia sociale, interrompendo la polarizzazione oggi in atto e aiutando la transizione al modello predistributivo della ricchezza prodotta, coinvolgendo direttamente al centro dei processi di produzione del valore una massa crescente di persone.
Parafrasando una famosa frase di Einstein, possiamo dire: il cambiamento del nostro modello di sviluppo appare impossibile da realizzare se questo cambiamento è gestito dagli stessi soggetti che hanno contribuito a crearlo.
